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AN ANGEL - Tilde


Era un angelo, e lo sapevo.

I capelli biondi ricadevano sul cuscino bianco dell’ospedale, gli occhi celesti come il cielo, ora coperti dalle candide palpebre...

Quel bip-bip-bip irregolare del suo cuore, era la mia condanna e la mia salvezza.

Dicono che chi entra malato in quel posto, poi esca come nuovo. Ma non ci credo: come può, un luogo così intriso di tristezza dal pavimento al tetto, come possono quei cuscini bianchi cadaverici e quei letti di ferro e circondati da sbarre, permettere a persone di guarire.


Tre mesi fa


Aspettavo mia sorella nella mia macchina, sprofondando nei sedili di pelle mentre ero assopito nella lettura del ‘’Signore degli anelli’’. Doveva fare un esame importante, per essere ammessa all’istituto femminile in cui lei sognava di andare da quando eravamo passati, un giorno di abbondanti otto anni fa, davanti a quel giardino colmo di fiori e piante contornato da quel cancello così decorato.

Eravamo gemelli, e ci assomigliavamo come due gocce d’acqua. Eppure, chi ci conosceva bene non avrebbe mai detto che eravamo gemelli.

Lei calma, io irrequieto, lei socievole, io un asociale di prima categoria. Insomma, simili come due gocce d’acqua, ma diversi come bianco e nero, come oscurità e luce, come bene e male.

Un live bussare al finestrino mi fece alzare di malavoglia lo sguardo dal mio libro. Aprii lo sportello e sul sedile accanto al mio si sedette Katrin, mia sorella. <<Come è andato l’esame?>> chiesi mentre chiudevo il libro <<Speriamo bene: i risultati li vedremo tra qualche mese>>.

Annuii piano, azionando il motore. Da a casa a quell’istituto non era molta strada. Eppure, in quei venti minuti, successe l’impossibile.

Abitavamo vicino alla campagna, i cinghiali spopolavano in quella zona. A volte capitava, di trovarti un cinghiale di cento chili passarti davanti casa e rovistare nella spazzatura. Oltrepassammo il ponticello, che separava la parte industriale dalla campagna. E, proprio in quel momento, un cinghiale passò davanti alla macchina. Fece un’apparizione improvvisa, non potevo frenare, così feci la prima cosa che mi venne in mente: sterzai.

Non potevo scegliere di peggio.

La macchina finì nel fossato capovolgendosi, perché, lo ammetto, stavo andando troppo veloce.

Il mio airbag scoppiò, ma non so per quale motivo, quello di Katrin no.

Quella fu l’ultima triste cosa che vidi.


Oggi


Sapevo che era colpa mia se lei era là.

Speravo, pregavo, supplicavo, Dio di non prendersela.

Ma in cuor mio lo sapevo. Non ce l’avrebbe fatta. Lei era un angelo, e gli angeli sono fatti per volare.

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© 2019 Lauretta Ricci

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