“zic” “zac” “zic” “zac” “zic” “zac”. Alle sette del mattino il pizzicante, invadente e penetrante rumore della macchina da cucito invase la sartoria di Rosa Parks, una signora di 58 anni dalla pelle piuttosto chiara per essere un’afroamericana di colore. Il suo viso sempre luminoso e sorridente e metteva un senso di serenità nel parlare con lei. Quello era, anche, un bel viso curato con poche rughe che la ringiovaniva di qualche anno e le davano quel tuo computer di una donna furba, intelligente è ostile a certe cose e regole. Aveva un grande naso a patata che lei facilitava la puoi mangiare gli occhiali su di esso. Dietro quelle lenti si nascondevano due grandi occhi marroni, più scuri della sua pelle. Essi erano lucidi e riflettevano le sue emozioni, sia gioia che tristezza. Verso le 07:30 lavori sia neri che bianchi, uscivano un'ora prima di andare al lavoro per prendersi al bar un bel cornetto caldo, soffice e gustoso con un po’ di latte e caffè ho un cappuccino caldo. Mentre io nel frattempo portavo un cornetto a Rosa, nella sua sartoria di fronte al mio bar. Così ogni mattina. Tranne quella del 2 dicembre 1955. Senza fretta mi recai verso la sartoria di Rosa Parks per portarle il solito cornetto mattutino. In tre ma per mia grande sorpresa non trovai Rosa. Non mi preoccupa molto pensavo che quel giorno avesse un po’ di febbre e non fosse potuta venire, lasciando il negozio a qualcun altro. Iniziai a guardarmi intorno e in fondo al negozio trovai Morgan, una signora che aiutava Rosa a sistemare il negozio. Salutandola, mi avvicinai a lei e richiesi con tono alto perché, Morgan, un po’ sorda: “Dov'è rosa!?” “In carcere” “Cosa?!”. Ero sconvolta come può andare in carcere una signora così gentile ed educata. “Come è successo?!” “Non lo so. So solo che è accaduto dentro l'autobus 2857” “Sai anche in quale carcere sia ora?!” “Quello più vicino a noi, ma adesso non mi ricordo il nome”. Me ne andai senza aprire più bocca avevo già sentito abbastanza. Rimasi lì fino alle 8 del mattino, quando tutti se ne fossero andati. Uscii voi è e chiuso il bar aspettando il primo autobus diretto a New York. Non passò molto tempo che già un autobus era fermo davanti a me. pagai per poi scendere e risalire dall'altro lato. C'era tantissimo posto detti tra quelli misti. Guardare i tutto il tempo il finestrino pensando a come stesse Rosa. Il paesaggio era fresco è luminoso di campi e spighe di grano. Arrivata mi ritrovare davanti un'enorme edificio grigio scuro brutto, sporco ed epoca. Entrare un po’ intimorita almeno dentro era più caldo e in questo periodo invernale più dentro si stava più che bene. I corridoi erano pieni di guardie e carcerate direttore sbarre. Forse lì dentro anche per non aver fatto niente, ma solo per il colore della loro pelle (non decisa da loro). Vagando per questi corridoi finalmente dopo tanta ricerca trovai Rosa in una cella desolata. La mia prima domanda fu: “cosa è successo? Perché sei qua!?” “Beh è una storia. Ieri ero uscita dalla sartoria sfinita perché avevo cucito tutto il giorno. Salii sull'autobus e l'ultimo posto libero era quello riservato ai bianchi. Mi sedetti mettendo la mia soffice borsa sopra le mie vecchie ginocchia arrugginite. ad un certo punto arriva un signore bianco e vedendo neanche un posto libero che esame di alzarmi, ma io non lo feci. L'autista mi disse con tono innervosito: “ci sedere il signore altrimenti sarò costretto a chiamare la polizia!”. Io continuai a guardare fuori dal finestrino senza esprimere alcuna emozione. L'autista chiama la polizia appunto e quando arrivo io rimasi calma, come se fosse ormai per me è una cosa quotidiana. La polizia non fece altro che trattarmi male solo per il colore della mia pelle in fretta e furia mi portarono qui in questa cella sola e deprimente”. Le dissi che avrei fatto tutto il possibile per farlo uscire da lì. Il giorno dopo non Aprii nemmeno il bar solo per chiamare tutti avvocati migliori di New York. Ma appena nominavo la parola “Di colore” riattaccavi senza ascoltarmi. Solo uno vuole ascoltarmi dopo aver detto “Di colere”. Si chiamava John Marley avvocato di pelle bianca bravissimo nel suo mestiere e protestante contro il razzismo. lo presentai subito a rosa virgola non può averle servito una tazza di cappuccino caldo dentro una bottiglia. Mentre John spiegava quello che sarebbe accaduto in tribunale e come si sarebbe dovuta comportare; io le guardai tutto il tempo il viso e appena furono pronunciate le parole “Forse uscirai domani” il viso di rosa cambio da normale a felicissimo. Il giorno dopo io e John ci, tranne Rosa che per protocollo dovete mettere una tuta arancione e portata in tribunale con la macchina di polizia. Mentre io andare in tribunale con la macchina più lussuosa e costosa di John. Arrivati l'ansia era nell'aria John secondo e con coraggio varcammo la porta sedendoci in un tavolo al centro di una stanza è piena di un solo colore marrone legno. Quando arrivò il giudice ci alzammo tutti in piedi dal colpo di un piccolo martelletto contro il tavolo ci sedemmo tutti. In quel momento nella mia testa c'era solo confusione e Rosa. Il processo durò due ore Buongiorno con i suoi mitici discorsi da avvocato riuscì a scontare la pena di Rosa. eravamo tutti felicissimi e rosa ci vuole invitare tutti a casa sua per festeggiare. La sua casa era piccola e accogliente. Era di colore legno bianco con il tetto a punta e due piccole finestre frontali. Da lei mangiamo tutti benissimo anche se un po’ stretti. Rosa ci cucino una buonissima oca ripiena Ehi da un buon profumo, colore e sapore ovviamente. Da lì in poi stetti sempre con rosa come se fosse la mia migliore amica. Infatti lo era diventata. Insieme feci mutanti di quei viaggi che ne perdemmo il conto. dopo la scarcerazione di rosa ci furono tante di quelle proteste per non avere più posti divisi per il colore della propria pelle ma uguali per tutti. Tutte le persone di colore non presero più l'autobus e molte di queste aziende fallì e quindi la divisione dei posti per il colore della propria pelle diventò solo ricordo lontano. quando Seppi la notizia bloccata di rosa sul divano affianco a lei quando ebbe un infarto. La portammo subito all'ospedale. Suo marito guidava e piangeva allo stesso tempo. Nessuno avremmo immaginato cosa sarebbe accaduto dopo. quella sera del 24 ottobre 2005 neanche arrivammo all'ospedale che Rosa morì tra le mie braccia
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