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IL CAPPELLO GIALLO - Samuele Palombi



“Il mio cappello non ha niente di speciale

eppure, lo comprai uguale

ma la sua storia è particolare

così ve la vorrei raccontare!”


Iniziò tutto un giorno normale quando stavo accompagnando, con mia madre, mia sorella ad hip hop, uno sport da lei tanto amato.

Era sera, la notte aveva ormai sopraffatto il sole e le stelle brillavano in cielo come lucciole ad agosto. Eravamo appena ripartiti dal Centro Danza che chiesi a mia madre: “che ne dici di andare a fare shopping?” Lei, mentre stava guidando, mi guardò con la coda dell’occhio e con un sorrisetto in volto rispose:” ok…andiamo!” Rigirai la testa verso il finestrino e continuai a guardare le auto che ci passavano accanto provando ad indovinare il loro prezzo, un gioco che faccio sempre quando sono in auto…

Poco dopo arrivammo al centro commerciale, con la mano destra aprii il bracciolo di pelle della macchina e presi la mascherina bianca, con l’altra mano aprii lo sportello, ma appena scesi il vento gelido mi invase le narici perforando la mascherina come un ago.

Mia madre seguì i mei passi e velocemente ci dirigemmo verso l’entrata. Le porte si aprirono lentamente shhhh e un getto d’aria calda mi colpì dritto in faccia, mia mamma, rimasta indietro tra la folla, mi richiamò agitata non vedendomi; ed in quel momento lo vidi…

Era solo, i suoi fratelli lo avevano lasciato per seguire i loro nuovi padroni, era lì

sembrava triste ed abbandonato; in quel momento mia madre mi raggiunse e

sistemandosi i folti capelli ricci scombinati dal vento, mi disse: “che stai guardando?”

“Niente”, risposi scuotendo la testa e ripresi a camminare pensando a quanto sarei stato bene con quel cappello in dosso…

Arrivati ad un bar ci sedemmo e davanti ad un pezzo di pizza fumante, dissi a mia madre: “Prima stavo guardando un bellissimo cappello” ma prima di terminare la frase lei mi disse: “se ti piace così tanto perché non lo compri!” Nel sentire quelle parole mi alzai di scatto strisciando la sedia e partii di corsa, schivando le persone come ostacoli.

Girai tra un negozio e l’altro finché non ritrovai lo stesso posto dove avevo visto il cappello. Entrai con la testa bassa ed il cappuccio della felpa nera che mi copriva la nuca, chiesi alla commessa se lo potevo, lei silenziosamente annuì e io mi diressi verso lo scaffale di legno di betulla su cui era appoggiato.

Presi il cappello e la calda lana mi avvolse le dita, il colore giallo mi invase le vene e una immensa gioia mi travolse; lo infilai e sentii tutto quel calore che fino a quel momento avevo solo immaginato, mi specchiai e vidi il mio viso più bello del solito, lucente e soddisfatto. Andai alla cassa e molto fiero del mio acquisto, presi dalla tasca il mio portafoglio di pelle nera fuori e colorata dentro, e pagai il conto.

Tornando verso mia madre, non solo era contento del mio cappello ma mi resi conto che era la prima volta che mi compravo “qualcosa” da solo. Arrivai al bar, dove mia madre mi stava aspettando sorseggiando un caffè d’orzo bollente, e con aria fiera le dissi:” Guarda che cosa ho comprato!” Lei, spalancando gli occhi alla vista del cappello mi rispose:” Un cappello giallo?” “Almeno ti vedrò da lontano” mi disse ridendo.

Insieme continuammo il nostro giro per i negozi, ma non vedevo l’ora di uscire per provare “sul campo” il mio nuovo cappello e per mostrarlo a mio padre.

Terminato lo shopping tra una chiacchierata e l’altra andammo a prendere mia sorella e poi di dirigemmo a casa dove mio padre ci aspettava per cena. Non feci in tempo a rientrare in casa che tirai fuori dalla busta il mio cappello giallo e lo mostrai al mio papà.

Con aria orgogliosa stringevo quel cappello tra le dita aspettando il giudizio di mio padre, il quale con un sorriso smagliante mi disse: “Che bello, lo metterò io quando andrò a correre la sera così sarò ben visibile”.

A dire il vero, mio padre non mise mai quel cappello perché da quel giorno lo portai costantemente io per andare a scuola, in piscina o in qualunque altro posto.

Da quel giorno capì anche che nulla è banale perché una qualsiasi cosa può essere speciale per il suo proprietario.

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© 2019 Lauretta Ricci

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