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Trovai davanti a me due figure strane con una divisa simile a quella dei carabinieri, ma solo dopo lo capì. I vigili avevano delle manette con le quali mi presero e mi rinchiusero in una cella dove c’era soltanto un piccolo bagno e una panca di legno del colore simile a quello di una staccionata dove era poggiato il mio compagno di galera. Poco dopo mi avvicinai alle sbarre per vedere, per quanto mi era possibile, che cosa stava succedendo al di fuori di questa piccola stanza buia, poiché le sbarre erano come barriere che vietavano la vista oltre l’orizzonte. Vidi un carabiniere ricomparire e darci passando dalle colonne due abiti da carcerati, erano marci, grigi a righe che sapevano di fuoco lasciato ardere da 5 anni, io e il mio compagno di cella li indossammo e ci accorgemmo di un particolare, un’etichetta grande bianca cucita sulla divisa con scritto un numero composto da 4 cifre: il mio era 7053 e quello del mio amico era 2075.
I giorni in carcere erano pieni di urla di gente che voleva essere liberata e di giornate buie e sempre tristi, per colazione mangiavamo pane e una mela, per pranzo pasta al forno vecchia, asciutta e senza sapore e infine per cena zuppa di piselli andata a male.
Ora vi racconto il perché sono finita in questo orribile posto. Era una giornata come tante altre, era sera, stavo tornando dal lavoro, dal cielo cadevano fiocchi i neve a due a due sempre più freddi e per questo eravamo tutti coperti con i cappotti imbottiti. Come al solito per tornare a casa prendevo sempre il pullman, ero stanca, facevo la sarta e mi ero cucita dei pantaloni nuovi.
In quel momento entrai, pagai il biglietto e mi accomodai sul sedile dell’autobus nella parte dove stavano i neri sebbene c’era la “legge razziale”. Il bus improvvisamente si fermò e il conducente disse:”Fra poco saremo in Alabama ma ora abbiamo un altro passeggero da far salire”. Il passeggero era bianco, si fermò davanti a me e disse: ”Ehi!Spostati, alzati, sto perdendo la pazienza”. Ma io non volevo alzarmi e così intervenne il conducente alzando la voce: ”Alzati o verrai messa in carcere”.
Dentro di me sentii qualcosa che mi venne dal profondo del cuore ed in quel momento pensai: ”Perché, perché esiste questa legge? Secondo me anche se il colore di pelle non è lo stesso comunque bisogna avere tutti gli stessi diritti”. Quindi dissi liberamente “NO”. Avevo i capelli neri e corti, ero molto seria e avevo gli occhiali tutti appannati che mi impedivano la vista. Quando dissi quel “NO” era diventato il più famoso di tutti i tempi, era il 5 dicembre e come detto dal conducente arrivarono i poliziotti e mi portarono in caserma dove mi presero l’impronta e mi spinsero con rabbia in una cella. Chiesi ai poliziotti perché mi avevano arrestato e mi dissero: ”Ti abbiamo arrestato perché hai infranto una legge civile”. Quando mi misero in carcere avevo 42 anni e come ho detto all’inizio era brutto stare in galera. Per fortuna mi hanno liberato dopo poco tempo, perché anche qualcun altro ha creduto come me che avevamo tutti gli stessi diritti.
Poco dopo tornai a casa stanca, una casa con le finestre color tenebre buio con delle tende che coprivano uno spazio che non poteva essere visibile al mondo. La parte superiore era del colore dell’abito di una strega e la parte inferiore era del colore della maglia appena lavata e pronta per essere stesa.
Aprii la porta, misi il cappotto sul divano della parte inferiore della casa e salii per andare di sopra. Mi misi a dormire facendo un sonno profondo perché ero stanca.
Rosa Parks nacque nel 1912 e morì nel 2005.
“Credo che siamo sul pianeta terra per vivere e godere della libertà” Rosa Parks.
Piccolo errore nel testo all'inizio .... non è similitudine ma è colore