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L'unica cosa che ti poteva salvare dalla morte non era la famiglia o una chiesa; ma una pistola o un pugnale. Io con il mio vestitino blu con pallini bianchi qua e là vidi mio padre andare via e non tornare più. Sei e 30 del mattino era una bellissima giornata; o almeno dicevano così le previsioni meteo. mi misi tacchi e giacca alla svelta per uscire puntuale; ma per essere la persona che sono ci deve essere sempre qualcosa che va male infatti mi accorsi di essere… “Ancora in pigiama!”. dopo essermi vestita salutai il mio gatto, Lamù, e mi diressi fuori casa tra gli affollati marciapiedi di New York. Avevo messo per la prima volta nella mia vita dei tacchi che mi facevano traballare di qua e di là, facendomi sembrare più imbranata di quello che ero. Arrivai davanti all'ospedale e avevo le lacrime nere per il fatto che si fossero mischiate con il mascara. Non volevo entrare: non ce la facevo ma alla fine lo feci. Arrivai all'ultimo piano davanti a quel letto bianco come la pelle di mia madre. Il suo dottore mi si avvicinò dicendomi che se la sua salute non fosse migliorata l'avremmo persa… per sempre a quelle parole scoppia in lacrime. Lanciai con rabbia mi attacchi in un angolo e poi di nuovo lacrime. Volevo tanto non trovarmi in quella situazione: l'ospedale, mia madre e i suoi ultimi respiri; quelli che non avevo sentito di mio padre. Non volevo fare mosse d'azzardo allontanandomi da lei quindi rimasi là; con quella puzza, con quel buio chiaro che avvolgeva la stanza, con un “Bip! Bip! ...Bip!” di sottofondo. Una sera sentii che i bip aumentavano sempre di più, e i suoi respiri diventano sempre di meno, la mia paura risaliva ad ogni… “Bip!”. I suoi ultimi respiri li sprecò dicendo: “Il diario è sotto il letto”. e dopo “BIIIIP!”. “Mamma! Mamma! Mamma!”. Immediatamente arrivarono i dottori che cercarono di risvegliarla ma niente. Quella sera tornai a casa con un dolore atroce al cuore.Mi specchiai e vidi che avevo i capelli come se elettrizzati, rossetto come se me lo avesse messo una bambina e poi il trucco spiaccicato sul mio viso come se avessi pianto a dirotto; in effetti l'ultima era vera. Ero rimbombata da troppi pensieri per fare qualunque cosa; quindi, mi sdraiai sul divano per schiarirmi le idee. La stanza era illuminata dalla luce di quella luna a spicchio. In casa si sentiva solo il mio respiro. Ad un certo punto mi ritornarono in mente le parole di mamma -Il diario e sotto il letto-. Iniziai a cercare per casa; mentre cercavo di realizzare: di chi fosse, come fosse e dove si potesse trovare (le parole di mamma non erano sempre molto affidabili)”. “Perché ci sono così tante stanze in questa casa!?”. Alla fine, quando lo trovai era talmente tardi che... mi addormentai su quel letto morbido caldo e nero; fin troppo nero. Al mattino ricevetti il Buongiorno da un abbagliante luce e dal mio gatto. Lamù. Mi cambiai con dei vestiti più comodi per andare a fare colazione in cucina; ma nel passare per il salotto sentivo dentro ci fosse qualcosa che non andava, ma non capii cosa. In quel momento la fame mi percuoteva quindi presi: latte e cereali, cornetto, pane e marmellata, una banana, fragole con panna e una macedonia. Ci misi due ore per mangiare tutto; me lo volevo gustare. Dopo aver mangiato questo banchetto presi il diario tanto desiderato, lo aprii e dentro trovai… “Niente!? Cosa!? Mamma ha sprecato i suoi ultimi respiri per un diario bianco!?”. Ero infuriata con il mondo quando…al punto di rompere un vaso il diario che si trovava a terra si aprì da solo. E mentre sfogliava le pagine io venni risucchiata all'interno e il posto dove mi trovavo era bellissimo. C'era un bosco con tanti tipi di alberi; Ma uno colpì la mia attenzione. “Non ci credo! ...Un Salice piangente rosa!”. Mi misi a correre verso di lui ripensando a tutte le volte che papà mi raccontava le favole con lui protagonista; quello delle favole era in una collina da solo e lui lo era, quello delle favole era il doppio delle dimensioni e lui lo era, il Salice delle favole era rosa e lui lo era. Entrai là sotto per godermi all'interno il sole, quando… “PAPA’!?”. Ma lui non rispose; anzi mi abbracciò. E io ripensai ai suoi finali nelle sue favole: … “E finì con un abbraccio”.
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