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PIOGGIA DI FUOCO capitolo I - Matilde



Guardo fuori dalla finestrella posizionata davanti al mio letto, tante piccole goccioline trasparenti scorrono sul vetro, allagando le strade e bagnando il terreno. Grossi nuvoloni grigi coprono minacciosamente Char, una piccola cittadina di campagna, dimenticata dal resto del mondo.

Mi piacciono molto le giornate così, dove il sole viene oscurato dalle nubi, ci sono pochissimi rumori, non si può uscire, perciò, me ne rimango chiuso in casa, con l’unico suono percettibile dal mio udito, quello della matita che con delicatezza, passa sul foglio. Adoro disegnare, tanto che la mia camera sembra uno studio artistico. Mi diverto a mettere su carta sopratutto i paesaggi tempestosi, senza esseri umani, do pieno sfogo alla creatività.

“Noah, è ora di cena!” Urla mia madre dalla cucina, dove l’odore di fritto non ti fa respirare.

Anche se controvoglia, mi alzo, con passo strascicante raggiungo il tavolo, mi butto sulla sedia a mo' di peso morto, chiudo gli occhi e aspetto che tutta la mia famiglia sia a tavola.

Davanti a me un piatto stracolmo di pesce fritto e insalata, l’unica verdura che trovo ripugnante. Accanto a me si siede mio fratello Dylan, l’unica persona nella mia famiglia che sopporto.

Mio padre con aria sarcastica dice: “A scuola è andata bene vero Noah?”

Alzo lo sguardo al soffitto, strizzo gli occhi e fisso il lampadario, poi con un attimo di esitazione rispondo: “Giusto, benissimo!”

“Non è vero, si è messo a piangere in biblioteca dopo che due ragazzi l’hanno preso in giro e spinto per terra” Spiffera tutto la mia cara sorella, con una vocina innocua e falsa come il suo carattere.

Mio padre a quelle parole sbotta con i suoi soliti insulti, sono inutile, non servo a nulla, sono la rovina della famiglia ecc ecc.

Anche oggi una bellissima giornata.

Mi alzò, sussurrò all’orecchio di mia sorella: “Me la pagherai”.

Lei si mette a frignare come fosse una neonata e io nel frattempo sono già chiuso a chiave in camera.

Non accendo la luce, mi butto sul letto, mi copro la faccia con il cuscino rosso e bianco, soffoco le mie emozioni.

Non sopporto la scuola e odio la mia famiglia, certo che sono messo proprio bene.

Questo mio stato dura all’incirca tre minuti, dopo, tutto riprende la normalità. Io che mi sento solo ma allo stesso tempo non voglio stare con nessuno.

Mi metto a sedere sul pavimento fresco, la faccia sulle mattonelle nere che rendono camera mia un ambiente abbastanza cupo.

Mi giro a pancia in sotto, una sensazione di relax mi fa dimenticare tutto quello successo poco prima.

Non so se per magia, ma il mio corpo si alza e si mette sul letto, la mia mente inconsciamente smette di funzionare e tutte le preoccupazioni volano via.

“Toon!” Un forte tonfo mi sveglia, da inizio a una serie di piccoli crepitii accompagnati da urla di voci estranee alle mie orecchie.

“Certo che i miei sogni sono migliori rispetto alla realtà” Sospiro e dal naso oltre che aria entra uno strano odore come di bruciato.

Mezzo assonato con capisco bene, finché non guardo la finestra, una luce rossa e arancione penetra creando un’atmosfera lugubre e paurosa.

Mi avvicino cauto, tocco il vetro ma ritiro in dietro la mano, scotta.

“Cavolo!” Mi viene da dire d’istinto.

Da quel momento in poi tutto diventa sfocato, come se fantasia e realtà si mischiassero e niente avesse contorno proprio.

Da quello che riesco a vedere stando lontano dalla finestra è un mare di fuoco, le fiamme si fanno largo tra l’erba bagnata e l’albero accanto a casa è un gigantesco faro incandescente.

Le lacrime iniziano a scendermi sul volto e un senso di vuoto mi buca il cuore, chiamo disperatamente i miei genitori, nessuna risposta.

Mi hanno abbandonato, non ci credo, non è vero, cerco in ogni modo di svegliarmi, urlando a me stesso che ero un codardo, che era tutto solo una falsa ma niente. Purtroppo non posso negare l’innegabile.

Mi accovaccio per terra, sul pavimento diventato caldo tra il corridoio e camera mia, cerco di tranquillizzarmi, respiro, almeno cerco di respirare.

Mi copro il naso e la bocca con un fazzoletto trovato nella tasca del pigiama grigio e nero.

Il pavimento è diventato bollente, mi alzo, non so dove andare attorno a me solo mura bianche tappezzate di quadri che mano a mano stanno diventando calde, caldissime, un soffitto che da un momento all’altro potrebbe crollare e fuori dalla casa fuoco, fiamme.

In lontananza sento la sirena dei vigili del fuoco, le urla di mio fratello e della mia famiglia, l’urlo severo di mio padre che zittisce tutti, dicendo che me la caverò. Impossibile, gli vorrei urlare che non ce la faccio, ma non ne ho la forza, mi accascio contro una parete, tossisco violentemente.

Sbatto la testa sulle mattonelle, l’unico pensiero che mi salta per la testa è - morirò qua, mi spiace - .

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1 comentário


greta.visconti
greta.visconti
19 de mai. de 2022

Matilde, io non voglio il capitolo II, lo ESIGO!!!! Bravissima, veramente! Unico appunto: non si dice "falsa", ma "farsa"

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© 2019 Lauretta Ricci

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