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Era un normale mercoledì mattina, vivevo in un quartiere a Mongomery, in Alabama, non era un quartiere che mi piaceva molto, soprattutto per la gente che vi abitava.
Ogni giorno vivevo la mia monotona vita, come se fossi un burattino, o sotto i piedi avessi dei binari, che da oggi verranno distrutti.
Come di consueto mi dirigevo a lavoro, avevo i capelli legati in una morbida e degli occhiali che coprivano i miei occhi scuri, quasi neri.
Facevo la sarta, certo era un lavoro che mi appassionava molto perché fin da bambina vedevo ogni giorno mia nonna lavorare a maglia, e farmi dei graziosi vestitini verdi.
Mi venne subito in mente quando da adolescente andai dalla nonna per Natale, e mi fece cucire tutto il pomeriggio.
Quanto ripagherei per quei momenti! sentii gli occhi riempirsi di lacrime, ma riuscii a trattenermi, perché stavo per entrare nella fabbrica in cui lavoravo. Sentii il rapido rumore delle macchine che cucivano e come al solito mi misero tutti gli occhi addosso. Sono nera, esattamente, essere neri ha per loro il significato di essere rozzi sporchi barbari. La mia pelle è più scura della loro, ma non sanno che sotto questa carnagione scura o il doppio delle loro cicatrici: Indelebili. Comunque mi misi subito a lavoro e dopo una lunga giornata passata a cucire e a fare bozzetti, uscii dalla grande fabbrica stanca morta e mi diressi verso la fermata dell’autobus 2857. Mi misi sulla panchina vicino ad essa, ad attendere il suo arrivo, tirava un dolce venticello che accarezzava i miei capelli, e il sole splendeva in alto nel cielo. Come sempre arrivò in perfetto orario; appena l’autista aprì le porte, salii le scale gialle, pagai il biglietto e scesi.
Non vi sembra strano che una persona paghi il biglietto e scenda? Beh… allora non era tanto strano, perché i neri dovevano sedere negli ultimi posti, e quindi salire da una porta sul retro, in mezzo i posti erano misti ovvero che potevano sedere sia i bianchi che i neri, ma se un bianco voleva il tuo posto, tu in quanto nero ti dovevi alzare, invece davanti sedevano i bianchi, me lo ricordo come se fosse ieri era il primo Dicembre 1955 quando i posti per i neri erano tutti occupati e quindi mi misi sull’ultimo posto dei misti, presi la mia borsetta e la misi sulle ginocchia, sapevo che non era una dei posti più sicuri per una nera.
Cercai di non preoccuparmi però percepii un buco proprio qui, sullo stomaco. Quando entrò un bianco, era alto, con dei capelli marroni e gli occhi chiari, aveva la borsa da insegnante, magari lavorava nella scuola per bianchi, pensai, mi si avvicinò e si mese accanto a me, inarcò le sopracciglia e portò il capo alto, come per dire ‘’Su alzati’’, ma io lo ignorai, dopo pochi minuti mi ritrovai davanti l’autista indignato.
‘’ Sei nera e perciò devi lasciare il posto ai bianchi, lo dice la legge’’
‘’No’’ ricevette da me, proprio quel no che cambierà la storia.
Dopo pochi minuti, vidi fuori dalla finestra delle luci blu lampeggiare e fermarsi davanti l’entrata dei bianchi. Mi si avvicinarono con delle manette in mano, percepii la tensione nell’aria, le esclamazioni dei neri e dei bianchi, ovviamente molto diverse fra loro.
‘’Cosa c’è agente?’’ dissi appena mi ritrovai un uomo bianco di fianco a me. L’agente non si degnò nemmeno di rispondermi, ma mi prese le mani e mi ammanettò, sentivo un miscuglio di emozioni: felicità perché sapevo di aver fatto la cosa giusta, paura per quello che mi sarebbe accaduto dopo e ansia, e poi tante altre emozioni ma che non sono riuscita ad identificare.
Restai in cella per qualche giorno, non era molto confortevole vivere in una gabbia, (così la chiamavo io).
I giorni passavano, lentamente ma passavano fino a quando non sentii un agente dire: ‘’Un avvocato bianco ha pagato la cauzione di Rosa Parks’’, sentii il cuore scoppiare di gioia, appena mi liberarono dissi a bassa voce ‘’Grazie’’. Ero infinitamente grata.
Da quel giorno qualcosa iniziò a cambiare, tutti i neri decisero di non comprare più il biglietto per l’autobus, e vi dico di più, l’80 % dei biglietti che venivano comprati, li prendevano proprio i neri; perciò, la ditta di autobus andò in fumo, tutto ciò durò per circa 381 giorni, ovvero fino a quando il governo decise di ascoltare la loro voce ‘’STOP ALLE DISCRIMINAZIONI’’ questo era il nostro slogan, questa era la nostra voce, e io rimasi nella storia dei neri per quel no: il no più importante del mondo.
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