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UNO SPUNTINO DELIZIOSO - Greta Visconti



Il cielo splende. Esco di casa abbagliato, i raggi solari mi colpiscono, esercitando su di me la loro potenza. Spesso vengo sottoposto a questi esperimenti dalle torride giornate che popolano l'estate. Ho la vista ormai forte e temprata. Nel grande appartamento in cui vivo con i miei genitori è sempre tutto luminoso, caldo. Le tende sembrano invisibili, perché non coprono mai gli ampi finestroni ad arco o i vetri delle porte. Le stanze gigantesche vengono totalmente ricoperte da fiotti di luce gradevolmente tiepidi, perfino in inverno. Il periodo peggiore però è questo: agosto. Un mese così afoso da sbrandellare le belle giornate e rovinarle con la sua straziante canicola. Lo odio. In più oggi è domenica, devo andare alla messa. Il nostro parroco è molto disponibile e svolge la funzione sia di mattina che di pomeriggio. Si fa tardi, quasi 16:00, fra poco mamma mi gracchierà: "Forza Rick, in chiesa!". Attualmente non ho proprio voglia. Alzare le gambe, camminare, annoiarmi. Le domeniche sono così. In fondo, anche lunedì. E i martedì. E i mercoledì, i giovedì, i venerdì, i sabati… fino a tornare alle domeniche. La vita stessa non ha senso. Un continuo ripetersi di ore vuote e uguali, senza scopi, obiettivi. Solo misere paure ed estenuanti sforzi per fare colpo. Solo un ammasso informe di ansia, imbottito d' insofferenza. Sprofondato nei miei pensieri, accasciato sulla sdraio che preferisco. Non voglio alzarmi. Ma devo. Mi tiro su faticosamente, mamma arriva. Insieme ci incamminiamo. Le vie sono pervase da bimbi schiamazzanti e signori coi capelli impomatati. Sentiamo il campanile battere. Un suono lungo, fastidioso. A molti piace, io lo detesto. Gli altri detestano me. Imponente la chiesa si erge, immenso edificio torreggiante sul soleggiato paesino. Varchiamo il freddo portone d'ebano, che si schiude senza il minimo rumore. Ci accomodiamo su di una lunga panca. Il legno venato è simile ad un braccio, solo più massiccio. Arriva il parroco, avanzando carismaticamente. Gli sguardi di tutti si volgono verso di lui, come magnetizzati. Inizia la messa. Quella cantilena colma I miei pensieri. È invadente. Cerco di scacciarla. Lotto. Alla fine però cedo e precipito in un sonno profondo, che mi porta in un terrificante, orribile sogno. Esco dall'incubo traumatizzato, la fronte sudata, le mani calde. Fisso l'orologio e mi accorgo che sono le 19:00. Intorno a me un inquietante silenzio permea l'aria. Quasi lo vedo, nero e puzzolente. Non mi piace. È brutto. Ricordo improvvisamente che stasera, verso le 21:00, abbiamo dei lontani parenti a cena. Devo andare nella cucina del convento qui accanto, dove lavora papà. Lì, prepareremo il pasto, poi lo porteremo a casa. Evado in giardino, la fresca arietta mi sposta leggermente la frangia, calata sugli occhi come un cappuccio. Alle mie spalle avverto dei passi ticchettanti. Sono sottili e velati, simili a respiri di topo. Volto il capo di scatto, ho uno strano presentimento. Noto solo degli alti pini di un rumoroso verde. Penso: " Di sicuro sarà la mia fervida immaginazione. Qualunque persona almeno una volta nella vita ha udito dei rumori insoliti, su!" Nonostante ciò, cammino un po' più velocemente. Comunque non mi lascerò terrorizzare da mostri inesistenti. Ad un tratto, mentre faccio scrocchiare i piedi sul vialetto ghiaioso una voce gelida mi sferza le orecchie. Sussurra freddamente: "Corri bimbo, corri da papà! Solo lì sarai al sicuro…". Una pallina di angoscioso terrore comincia a rimbalzare freneticamente contro le pareti del mio cervello. Sono spaventato. Una sorta di sesto senso mi allarma: qualcosa non quadra! Corro, il fiato corto. Sono vicino, manca solo qualche metro. Sospiro di sollievo quando finalmente raggiungo il luogo desiderato. Mi intrufolo nella cucina del convento. È poco illuminata. Le pentole i pentoloni sul fuoco borbottano in lingua arcane. Scivolo sullo sporco pavimento, unto e bisunto. Non vedo nessuno. Ai muri crepati sono appesi mattarelli lunghi come ossa, coltelli affilati e mestoli muffosi. Ora la pallina batte, salta, fa rumore. Qualcuno, probabilmente il mio pedinatore, si ferma dietro di me. Due braccia mi avvolgono il petto con fare affettuoso. Lentamente, giro la testa. Papà, dritto come un fuso, ricambia l'occhiata. Felice gli prendo la mano. Lo guardo a lungo. I suoi occhi. Non sono normali. Dentro vi saettano fulmini di morte, agghiaccianti lampi gli squarciano le pupille. Voglio scappare. Ma non ci riesco. Se fossi rimasto vivo ancora qualche istante, avrei visto un uomo. Pugnale insanguinato in mano. Faccia gelidamente immobile, come di marmo. Se fossi rimasto vivo ancora qualche istante, avrei visto mio padre usarmi per preparare la cena ai nostri ospiti.

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© 2019 Lauretta Ricci

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